Il trionfo della volontà
L’aria è fresca, frizzante. Ieri è piovuto tutto il giorno, ma oggi splende il sole e il cielo ha la tonalità azzurro intenso delle tipiche ottobrate romane. Siamo diretti io e Valentina (la mia amica fotografa che documenterà con le immagini le pagine di questo diario) al circuito di Vallelunga “Pietro Taruffi” di Campagnano di Roma nei pressi di Bracciano. Siamo qui per un evento organizzato dall’associazione Di.Di. Ma di che evento si tratta? E soprattutto, cos’è Di.Di.?
Di.Di., acronimo di Diversamente Disabili, è una Onlus unica in Italia che si batte da dieci anni per consentire a persone con disabilità di avvicinarsi o riavvicinarsi al mondo delle due ruote cercando di superare le barriere burocratiche e logistiche che si frappongono alla realizzazione di un desiderio che è anche un diritto. Per questo Di.Di. ha al suo attivo iniziative volte a promuovere presso i giovani disabili l’attività sportiva come elemento di socialità e di recupero, offre corsi di guida con moto adattate e piloti istruttori con la stessa disabilità dei partecipanti finalizzati al conseguimento della patente A Speciale e favorire il reintegro del disabile nella società attraverso la mobilità, organizza il primo e unico campionato al mondo riconosciuto da FIM Europe a cui partecipano piloti disabili provenienti da 12 Paesi, tiene corsi di Educazione Stradale rivolti alle scuole, rende disponibili percorsi di Mototerapia ai reparti di pediatria oncologica degli ospedali. Insomma, sono uomini e donne per lo più disabili fantastici, pieni di entusiasmo e idee vulcaniche. Mi piace pensare a loro come a gente che non conosce la parola “resa”, che si aggrappa con le unghie e coi denti a uno scoglio per resistere ai marosi. Eroi nel senso più nobile del termine che a Sofocle sarebbero davvero piaciuti.
Tra tutte le numerose iniziative che ho sommariamente elencato c’è anche quella di oggi: il Di.Di. Day, una giornata di condivisione e solidarietà per far provare gratuitamente a chi ha una disabilità il brivido della velocità come passeggero di una moto o di un’auto accompagnato da un pilota professionista. Sul piazzale antistante il paddock ferve l’attività. C’è il gazebo per registrare i partecipanti, dai tir si scaricano i mezzi, nei box si mette a punto il programma. Non partecipando direttamente all’evento ci dirigiamo verso la pista: l’obiettivo è quello di riuscire a scambiare due chiacchiere a proposito del mio progetto con Emiliano Malagoli, presidente di Di.Di., al quale avevo già anticipato qualcosa qualche giorno prima per mail. Ma giustamente in questo momento Emiliano è impegnatissimo così ci dirigiamo verso due ragazzi dello staff che stanno parlottando tra di loro. C’è una cosa che mi ha sempre colpito: i disabili si riconoscono da lontano. Sarà perché si condividono le stesse difficoltà, si cerca di superare gli stessi problemi, si combattono le stesse battaglie. Facciamo così conoscenza con Michele e Corrado detto Dado, due piloti disabili che hanno la mia stessa problematica. Michele al braccio destro, Dado come me al sinistro. Iniziamo a discorrere come se ci conoscessimo da una vita. Faccio molte domande e esprimo anche le mie paure e le mie perplessità. Parliamo di mezzi, di dispositivi, di traiettorie, di assetti. Dico che non so, sono passati moltissimi anni, ho il timore di non ricordare nulla, di trovarmi tra le mani un mezzo con cui non riuscirò mai più a trovare un feeling. Dado ride, ci siamo passati tutti, afferma serafico, ma alla fine è come tornare in bicicletta: sono cose che non si dimenticano, mi rassicura. Anzi, perché non vai a infilarti la tuta e ti fai qualche giro? Ho un brivido. “Dado, – faccio io, – purtroppo esco da quattro mesi di terapia oncologica e sto ancora recuperando le forze, non riuscirei a gestire 200 chili di roba. Però, ti prego, non propormelo una seconda volta perché potrei mettere da parte ogni remora e fare un colpo di testa”. Ridiamo. Fortunatamente il senso di responsabilità prevale. Mi invitano nei box per farmi vedere i loro mezzi da corsa. Odore di benzina, meccanici al lavoro, motori in riscaldamento. Dado ha una BMW, Michele credo una Yamaha. Io tesso le lodi della coppia in basso di un bicilindrico. Non c’è niente da fare, i motociclisti saranno pure una tribù unica e molto elitaria ma al suo interno ciascuno ha i propri totem. Mi faccio spiegare da Dado come funziona il leveraggio sulla manopola destra per comandare la frizione e altri aspetti tecnici. L’evento sta però per avere inizio e devono andare. Ci salutiamo: loro diretti a bordo pista, noi alla terrazza degli spettatori.
Sulla corsia di accelerazione sono affiancate le moto con i loro piloti. C’è un’atmosfera di gioia e di eccitazione. Arrivano i passeggeri. La maggior parte sono in sedia a rotelle. Ciascuno ha una squadra dedicata. Li sistemano sulla sella, li assicurano al pilota. Indossano tute di pelle e caschi sgargianti attraverso i quali occhi sgranati si guardano intorno pieni di meraviglia. Ultime istruzioni, i giri del motore aumentano. Poi, una dopo l’altra, le moto si immettono sul circuito. Partiti. Sfrecciano. Un giro dopo l’altro, una curva dopo l’altra. Finalmente si torna al paddock, ed è lì che ti rendi conto di quel che è davvero successo. Sguardi brillanti, gote arrossate, risate di cuore. Persone disabili di tutte le età, maschi e femmine, si abbracciano felici. No, io non sarò mai in grado di capire davvero cosa si prova dopo aver passato una vita a spostarsi lentamente, lottando contro le barriere architettoniche e l’inciviltà e l’indifferenza del prossimo, a vedere il mondo scorrere intorno a velocità pazzesche, ridotto a informi macchie di colore e col vento che sferza la faccia. Incredibile.
Torniamo invasi da una strana e inaspettata felicità. Forse ora approfittando di una pausa riesco a scambiare due parole con Emiliano. Chiedo a una ragazza che scopro essere Chiara, sua moglie. Me lo indica. Ci vado. Mi chiede di rammentargli brevemente i termini della faccenda. Ma non è questo il momento di dilungarsi e ci diamo un appuntamento telefonico di lì a qualche giorno. Ragazzo simpatico, solare e pieno di energia, Emiliano. Missione conclusa, insomma, e recuperiamo la vettura al parcheggio. Ma la giornata non è ancora finita. Il clima è perfetto per cercare un’osteria e pranzare fronte lago. In fondo, dopo tante emozioni, anche il palato vuole la sua parte.