Radici
Gennaio 1968. Roma. È quasi ora di cena. Un carabiniere smonta dalla sua moto Guzzi Falcone 500. È stanco dopo il turno di pattuglia in strada e non vede l’ora di tornare a casa dalla sua famiglia. Un piantone gli comunica che prima deve passare dal tenente in servizio. Sbuffa. “Che diavolo vorrà?”, si chiede. Ma gli ordini sono ordini. Bussa, entra, saluta l’ufficiale mettendosi sull’attenti. Ha ancora il casco sottobraccio.
“Comandi!”, dice non troppo convinto. Il tenente seduto di fronte a lui non alza nemmeno gli occhi dalle scartoffie che ha davanti. Avrà almeno vent’anni meno di lui. “Comodo”, dice quasi indifferente. “Allora, sono cambiati gli ordini di servizio. C’è stato un terribile terremoto nel Belice e mi chiedono due carabinieri per scortare un convoglio di aiuti. Vai tu e Feliziani”. Il carabiniere deglutisce a fatica. “Dov’è il Belice?”, chiede. “Da qualche parte in Sicilia”, replica il tenente immerso nelle sue carte. “In Sicilia? Signor tenente ma io sono appena smontato e tengo famiglia. Non può ordinarmi questo…”. “No?”, finalmente gli pianta i suoi occhi azzurri in faccia. Freddo, braccia incrociate sul petto, forte accento piemontese. “Eppure mi sembra di averlo appena fatto. Questo è il foglio di servizio. Fai dare un’occhiata alla moto e il pieno al serbatoio. Parti tra mezz’ora”.
Il foglio galleggia a mezza strada tra i due. Il tenente ha steso il braccio, si aspetta che il suo sottoposto lo prenda e esegua gli ordini. Il carabiniere non muove un muscolo. Le sopracciglia del tenente si inarcano. “Non posso signor tenente…”, mormora a voce bassa. Finalmente un’espressione sui lineamenti delicati dell’ufficiale. “Stai scherzando? Prendi questo cazzo di foglio e sparisci. Farò finta di non aver sentito…”. Il carabiniere infila lentamente due dita nella giacca di pelle nera e estrae le chiavi della moto. “Mi spiace, signor tenente. Non posso. Ci vada lei se vuole. Ecco le chiavi”. Sul volto del tenente si allarga lo sbigottimento e prima che possa trasformarsi in rabbia il carabiniere scatta sull’attenti, saluta e esce.
A tavola è taciturno. La moglie sa che non è il caso di fare domande. In tv c’è Carosello, Calimero pulcino nero. Quella è stata l’ultima volta che il carabiniere salì su una moto. L’indomani gli venne comunicato il trasferimento in un oscuro ufficio della giudiziaria a battere a macchina pile di rapporti in triplice copia. Quel carabiniere era l’appuntato motociclista Adelio Valente, classe 1925, mio padre. In realtà su una Guzzi ci tornerà, ma molti anni dopo. Sulla mia, da passeggero. Evidentemente l’aquila di Mandello è un imprescindibile retaggio di famiglia.
Pratica di Mare, Torvaianica (Italia), 1956/7 © Marco Valente